sabato 18 dicembre 2010

Parkinson:lento il movimento lenta l'accettazione

Questo articolo non vuole essere una trattazione medica della malattia di Parkinson: non ne avrei le competenze, non essendo un medico.
Vorrei piuttosto delineare le difficoltà anche psicologiche che, molto spesso, accompagnano le persone affette da questa malattia.
Da qualche anno lavoro al Neuromed, un ospedale che si occupa principalmente di disordini neurologici: mi occupo di sperimentazione farmacologica in malattie neurologiche quali il Parkinson, la Sclerosi Multipla, l'Alzheimer, fra le più note.
Questo tipo di lavoro mi permette di fornire anche supporto psicologico ai pazienti che si rivolgono all'ospedale e che vengono seguiti dai neurologici con cui collaboro.
Quindi, non una competenza medica ma una conoscenza psicologica dei vari vissuti di sofferenza psicologica che queste persone hanno.
Il Parkinson, oggetto di questo articolo, è un disordine neurologico che comporta, al suo esordio, lentezza e rigidità del movimento di un arto, di entrambi gli arti dello stesso lato o di entrambi i lati del corpo.
Generalmente, immaginiamo il Parkinson come una malattia della vecchiaia.
In realtà non è esattamente così poichè esiste anche un Parkinson ad esordio precoce, che si manifesta nella prima età adulta, attorno ai 40 anni.
E se, generalizzando e volendo essere superficiali, viene più facile accettare questo tipo di malattia quando si ha una certa età, sebbene comporti sempre una sofferenza e un costo sociale e affettivo alti, la condizione psicologico-emotiva di una persona con un Parkinson ad esordio precoce comporta, forse, un maggiore disagio.
La depressione, che quasi in tutti i casi accompagna la malattia o ne è un sintomo di esordio, tende a peggiorare a causa delle implicazioni che il Parkinson comporta: giovani uomini di 40-50 anni che sentono il peso della malattia come un macigno che li distrugge e gli impedisce di vivere la loro vita.
L'autostima cade a picco e il senso di efficacia personale si riduce: la stanchezza non permette di essere attivi "come un tempo", fare qualche passo in più durante una passeggiata diviene una sofferenza e persino il dormire non è soddisfacente.
Questi sono per lo più le conseguenze fisiche...sul piano personale poi, c'è spesso la vergogna di essere un malato di Parkinson (cosa pensera la gente vedendomi?mi compatirà?), il senso di colpa per il pensiero di essere un peso per i propri familiari, l'idea che non si è più prestanti come prima porta lo sconforto perchè spesso c'è il pensiero negativo di "non poter più servire" agli altri a cui si vuole bene, la famiglia in primis.
E, spesso, lavorare, cercare di condurre una vita "normale" diviene una sfida con se stessi che, purtroppo, viene spesso persa.
Spesso, in queste persone ho osservato come ci sia il tentativo, comprensibile, di voler continuare a fare esattamente ciò che facevano prima e allo stesso modo; la completa non accettazione della malattia, alle volte, fa si che non si accettino le "vie di mezzo": o faccio quello che facevo prima allo stesso modo o non so fare più nulla.
Accettazione significa questo: riuscire ad entrare nell'ottica che va bene anche dare 9 invece che 10 o anche 8 o 5, che è sempre meglio di 0.
Se invece i pensieri negativi sulla malattia e su quello che "toglie" alle capacità e alle possibilità di una persona malata di Parkinson predominano, la persona si sentirà frustrata, arrabbiata e con un senso di solitudine, di tristezza e di inefficacia, facendo si che sintomi quali depressione, ansia, panico si aggiungano al disagio fisico.
Nella mia esperienza ho potuto constatare quanto faccia bene a queste persone avere un confronto che faccia loro capire, con i giusti tempi, che Parkinson non vuol dire "STOP" piuttosto "RALLENTA".
Quindi, non lasciate che i vostri pensieri negati fermino la vostra vita.
Rallentare, visto da un altro punto di vista, può anche voler dire godere maggiormente di ciò che la vita può offrire e di ciò che voi potete ancora offrire ad essa.

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