giovedì 27 settembre 2012

Un farmaco per la vita: l'importanza dell'aderenza






Avere una malattia cronica significa spesso dover prendere uno o più farmaci per il resto della propria vita.
Spesso, dover prendere uno o più farmaci, ogni giorno, per tutta la vita significa ricordarsi, ogni giorno, di essere malati..
Per molte persone questo fatto non è fondamentale e riescono a convivere tranquillamente con il dover prendere "meccanicamente" la loro pillolina ogni giorno.Riescono a meccanizzare questo comportamento di assunzione della terapia rimanendo, almeno superficialmente, "staccati" emotivamente da ciò che significa quel farmaco; posso affermare quanto dico con un margine di errore davvero minimo...
Nella mia esperienza con le persone che sono affette da una qualsiasi malattia cronica e che devono assumere uno o più farmaci ogni giorno se vogliono stare bene, ho notato che ci sono le persone assolutamente scrupolose, quelle che non saltano mai un'assunzione e questa avviene sempre alla stessissima ora; parlando con queste persone, specialmente quando sono giovani o giovani adulti (fino alla quarantina per intenderci), emerge che questo loro comportamento quasi "ossessivo" serve proprio a "soffocare" l'ansia che la malattia genera in loro.
Attraverso la regolare e impeccabile assunzione della terapia è come se impedissero il manifestarsi dell'ansia derivante dal pensiero che la malattia potrebbe peggiorare se non prendessero i farmaci. 
Quindi, probabilmente staranno bene a livello fisico, grazie all'ottima aderenza terapeutica ma il disagio derivante dalla negazione emotiva resta sommesso e pronto ad esplodere in modalità variegate.
Ci sono poi le persone cui il medico deve quasi imporre la terapia poichè la loro situazione sta decisamente peggiorando ma loro credono che non sarà il farmaco ad aiutarli; queste persone cambiano spesso terapia, riferiscono che non è efficace - salvo casi, ovviamente, in cui davvero una terapia non è efficace- o si aspettano miglioramenti "miracolosi" sin dalla prima assunzione.
Il farmaco, insomma, diventa il loro miglior amico, se funziona; oppure il peggior nemico, se non da quei risultati tanto sperati (e che, per inciso, nessun farmaco darebbe).
Quest'altra categoria di persone dimentica spesso di assumere la terapia, sballa gli orari di assunzione, non porta con se la terapia da prendere se si sposta; insomma hanno dei comportamenti che evidenziano chiaramente la "dissociazione" e la non-accettazione della loro "nuova" condizione di malato e ciò che comporta, soprattutto in quelle malattie in cui non vi è un rischio immediato per la vita o in quelle malattie che non manifestano subito un quadro sintomatologico compromettente: il farmaco, in questi casi, "ricorderebbe" alla persona "apparentemente sana" che in realtà non lo è...
Terzo caso: persona che crede che la malattia che lo ha colpito sia una punizione per una qualunque cosa che ha commesso..
Vi assicuro che le persone che pensano quanto ho appena scritto sono tante.
Sicuramente vi sono delle malattie per le quali questo discorso vale di più ma, in generale, queste persone è come se pensassero di meritarsi il male che le ha colpite.
La terapia è vista come "il dono" che il medico/salvatore fa loro per farli continuare a vivere e loro, con atteggiamento penitente e un pò depresso, assumono la terapia ogni giorno ringraziando; un pò esagerato e teatrale lo so ma il senso è quello. 
Parlando con queste persone, viene spesso fuori la rabbia (sacrosanta) che invece è dentro di loro, non riconosciuta ma che si manifesta in vari comportamenti come depressione, abuso di alcool e comportamenti di abuso in genere o inappropriati (rispetto ad una modalità comportamentale passata).
Ci sono le persone palesemente incazzate per la loro situazione e che rifiutano la terapia o la assumono solo quando stanno male, vanificando talora l'efficacia del farmaco e bruciando preziosissime possibilità di cura.
Ci sono ovviamente anche le persone che hanno accettato la loro condizione di malattia, sono serenamente preoccupate per la loro salute, sono arrabbiate in maniera adeguata con se stesse,  col mondo, con un qualunque dio, con tutti ma hanno anche saputo tornare ad un livello di funzionamento adeguato, nonostante la malattia e grazie alla terapia.
Ho descritto 5 grandi categorie che ho personalmente incontrato: sono persone malate di HIV, Parkinson, Sclerosi Multipla, Diabete, Dializzati ecc..
Non ho scritto di persone che "secondo me"; ho parlato di casi di vita in cui molti possono rispecchiarsi; moltissimi altri sicuramente no; non pretendo certo di essere esaustivo  perchè ogni malato vive la SUA malattia in maniera individuale e personale e degna di assoluto rispetto e comprensione (fin dove è possibile).
Le situazioni da me descritte hanno tutte in comune la capacità di fronteggiare adeguatamente la propria condizione di malato: accettazione. 
Questa è l'unica possibilità di salvezza: i medici e tutto il mondo sanitario potrà parlare all'infinito dell'importanza dell'aderenza per il benessere della persona ed è giusto che continuino a farlo MA...
non vi sarà mai aderenza laddove un malato non ha accettato la propria nuova situazione, la propria nuova vita.
In riferimento ad una terapia farmacologica aderenza significa, in breve, assunzione del farmaco in assoluta compliance con la prescrizione medica: x farmaco alla x ora per x giorni. 
L'aderenza, affinchè una terapia sia efficace, deve essere del 100% quindi, ad esempio, devo prendere 1 pillola al giorno alle 20 per 30 giorni.
Perchè questa rigidità?Perchè i farmaci hanno un loro ciclo di vita: un farmaco da prendere ogni giorno dura 24 ore quindi se non lo prendessimo allo stesso orario resteremmo scoperti dall'efficacia farmacologica; in secondo luogo, a seconda del tipo di malattia, un farmaco, se non assunto regolarmente, può perdere di efficacia in quanto il sistema sviluppa delle resistenza verso di esso (ad esempio il virus dell'HIV contro le terapie antiretrovirali).
Per molti significa modificare il proprio stile di vita, riassestare orari, abitudini, anche alimentari.
Ecco perchè per molti il farmaco diventa "nemico": ci obbliga, ci impone qualcosa. E per di più si aggiunge ad una situazione già di per sè fastidiosa che è la malattia stessa!
Accettazione = aderenza
Tutto ciò che si fa non rispettando la terapia è toglierci possibilità di vita.
Il "prezzo" che si deve pagare per vivere bene e meglio è qualche aggiustamento ed un "promemoria" in più sulle nostre pienissime agende telefoniche.
Vivere dignitosamente varrà questo "sacrificio"?

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