sabato 23 febbraio 2013

Cura o Diagnosi?






http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/02/19/psicoterapia-istruzioni-per-luso-2-diagnosi-finalita-e-obiettivi-della/504707/?utm_medium=referral&utm_source=pulsenews


Questo interessante e, almeno per me, molto divertente articolo è apparso qualche giorno fa su una rivista online e devo dire che, leggendolo, mi sono ricordato di quanto sia triste, per certi versi, la mia professione a causa, soprattutto, della "psichiatrizzazione"  (e la conseguente "istituzionalizzazione") del disagio mentale.
Ma, in fondo, Freud, "padre della psicoanalisi" (=madre delle psicoterapie), era un medico non uno psicologo; dunque non mi stupisco se, ancora oggi, con la "scusa" della scientificità, perchè solo con un linguaggio comune (che guarda caso è mutuato dalla psichiatria) si può comunicare scientificamente, ci si barrichi dietro le terminologie psichiatriche (che fanno tanta paura solo a nominarle).
Ammetto che se mi dovessi chiedere se viene prima il bisogno dell'essere umano di avere delle certezze/risposte (leggasi diagnosi) oppure il bisogno di un "linguaggio comune" all'interno della comunità scientifica beh..non so se saprei rispondermi.

Non si può certo negare che un "codice" comprensibile da tutti gli operatori della salute mentale sia necessario: se un collega esquimese mi invia il risultato di un test MMPI o di qualunque altro test lo saprò leggere anche io e capire cosa esattamente il collega ha dedotto da quel test e viceversa.
Questo però rispettando la cara scientificità...perchè, ad essere onesti e professionali davvero, c'è da dire che la maggior parte dei colleghi interpreta i test a seconda dell'orientamento psicoterapico di riferimento.
E questo non vale ovviamente solo per i test ma per qualunque tipo di "ETICHETTA" si decida di attribuire ad un "INDIVIDUO" (e si badi che ho scritto "individuo" proprio per denaturare l'essenza dell'unicità di una persona!).
Poniamo una bella diagnosi di "disturbo da attacchi di panico": innanzitutto, questa diagnosi deve essere posta dopo che sono stati soddisfatti una serie di "criteri" e tutti i colleghi sanno che fin troppe diagnosi non trovano soddisfatti i criteri minimi, per cui la geniale mente dei "santoni psicologi e psichiatri" si è inventata i vari NAS ("Non Altrimenti Specificato" ovvero un calderone dove si buttano tutte le diagnosi che "potrebbero essere ma" i criteri non bastano a soddisfare alcuna diagnosi "precisa").
La maggior parte delle persone arriva a consulenza con un disturbo di asse I...ops scusate, questo è DSM: i disturbi di Asse I, per dirla molto brevemente, sono i disagi come depressione, ansia e disturbi correlati, manie, ossessioni...insomma tutto ciò che ci accompagna magari da sempre o che diventano pesanti ad un certo punto della nostra vita ma che, tutto sommato, non ci hanno fatto perdere totalmente la testa: finchè la barca va.....
Ogni psicoterapeuta, posta diagnosi, proporrà, eventualmente (si spera), una "storia del disturbo": come mai si è sviluppato e da cosa potrebbe essere stato generato e, soprattutto, cosa lo ha mantenuto.
Alle volte le persone hanno solo necessità di risolvere il sintomo e quindi non interessa tutta questa parte di psicoterapia più profonda; ad esempio, ho la fobia di volare ma arriva il giorno in cui, per forza, devo prendere un aereo: 6-8 sedute intense di psicoterapia cognitivo comportamentale (la più efficace in questi casi) e prendo il mio aereo, senza interessarmi se sia stata colpa di mio padre, della maestra, del senso di inadeguatezza, della paura della castrazione e chi più ne ha ne metta.
Dicevo, fatta la diagnosi, si deve proporre una storia del disturbo per capire su cosa lavorare: ed è a questo punto che tutte le etichette perdono valore secondo me. Perchè ogni psicoterapeuta, in base alla storia della persona, articolerà assieme a lui un lavoro terapeutico più o meno efficace: che sia di ristrutturazione dei ricordi infantili piuttosto che libere associazioni e interpretazione dei sogni o ancora risoluzione del senso di inadeguatezza e di inferiorità esperito in famiglia.
Ma l'essere umano ha bisogno di risposte perchè deve capire se si può o no guarire: caro signore lei ha il diabete quindi prenda questi farmaci e vedrà che andrà tutto bene.
Precisa e con un futuro stabilito e certo: se prendo i farmaci e regolarizzo la mia vita il mio diabete, la mia malattia, la potrò "tenere sotto controllo".
Caro signore mi spiace lei ha un cancro...è una malattia ma ognuno di voi che legge sa che non si può paragonare alle altre...perchè?perchè fa quello che vuole, non si vede, può sparire e può tornare e anche quando si guarisce si vive con il terrore costante che....
Ovviamente non c'è paragone con il disagio mentale ma il discorso è simile: le persone hanno bisogno di una diagnosi perchè hanno bisogno, giustamente, di capire cosa accadrà loro.
Ma il lavoro sulla mente, purtroppo, non è mai limitato come nel caso su citato: spesso tante storie di vita si intrecciano, tanti traumi da risolvere o pochi ma grandi e soprattutto, molti anni di vita e, quindi, di apprendimenti, da rinnovare (non abbandonare).
Per alcuni può essere un lavoro lungo e faticoso, che porta molta sofferenza, così tanta che si preferisce un farmaco risolutore piuttosto che affrontare e provare a cambiare.
Io il DSM non lo conosco ne' mai lo comprerò (anche perchè costa un casino!).
Conosco quattro diagnosi messe in croce e sono abbastanza inutili perchè le persone arrivano iper informate, tanto che a momenti insegnano loro a me qualcosa di nuovo!! E quello che dico sempre ai miei pazienti è:
"facciamo finta che sia questa X cosa, che lei abbia questo X problema. Adesso che lo sa che se ne fa? Alle volte azzardo anche una "interpretazione" e di nuovo chiedo "ora che sa di chi o di cosa è la colpa che se ne fa?è guarito?"
La risposta è sempre no; con tanto di rabbia e frustrazione. Ed è qui che scatta il vero lavoro psicologico di educazione a ciò che possiamo diventare e alle possibilità che tutti hanno di acquisire quelle abilità e competenze che nessuno ha insegnato loro e che per questo motivo, oggi, nel presente, le porta a stare male.
E nulla di tutto ciò è scritto nei DSM o in alcun libro di "etichette": le storie e le vite delle persone, delle singole persone, si districano e si intrecciano in una stanza di terapia, uniche ed irripetibili.

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