Qualche notte fa, asfissiato dal caldo notturno che mi impediva di dormire, facevo "zapping" ossessivo e, soprattutto, afinalistico pur di trovare miracolosamente qualcosa che mi annoiasse e stremasse abbastanza e mi facesse addormentare.
In questo girovagare televisivo mi sono soffermato su un programma che mostrava un gruppetto di ragazze, di età non superiore a 16 anni credo, che cantava e si dimenava a più non posso.
Chi mi conosce sa bene che aborro questo genere di programmi e non li considero affatto "un'occasione", come qualcuno può sostenere.
Credo si trattasse del famoso X-Factor, made in USA di cui, ovviamente, ne abbiamo una versione anche in Italia e in ogni dove.
Di certo non è una critica ai programmi questo articolo ma a ciò che anima i partecipanti, spesso ragazzi e ragazze molto giovani che impegnano tutta la loro vita per cercare di emergere come cantanti, ballerini o quello che sia.
Non è forse lecito avere un sogno e tentare di realizzarlo? Assolutamente si; anche avere davvero un talento e tentare di farsi notare, di emergere per farne la propria professione è assolutamente lecito.
Infatti, questi programmi in sè non avrebbero nulla di male.
La cosa che mi lascia perplesso e mi rattrista anche un pò è vedere giovani, anche giovanissimi ragazzi e ragazze che pensano che la loro UNICA possibilità di realizzazione nella vita sia offerta da quel programma.
Ascoltando il programma e le interviste che venivano fatte ai partecipanti, questi riferivano frasi come "Sarebbe terribile se venissi eliminato/a adesso!", "Mi sentirei fallito/a se non arrivassi in finale!", "Cantare è tutto ciò che è importante nella mia vita!" ed altre di queste espressioni che mi hanno fatto riflettere su quello che può essere considerato un valore importante per la realizzazione personale e, di conseguenza, per il mantenimento della propria autostima.
Da considerare poi che questi giovani talenti erano accompagnati e fomentati (è proprio il caso di dirlo) dai propri genitori che assecondavano totalmente il modo di pensare dei propri figli (da chi lo avranno imparato poi....??).
Qual è il punto?
Passi che la società americana è improntata al successo personale e all'autorealizzazione da sempre; questa modalità made in USA non è di certo italiana ma stiamo facendo di tutto per importarla e "scimmiottarla", nella peggiore delle maniere, creando una generazione per la quale la propria autostima e il senso di auto efficacia si risolvono nell'essere dipendenti dal giudizio di un altro e con un'idea totalitaria di fallimento.
Ho visto in passato qualche puntata di questi show italiani e anche li si ripetevano medesime scenate di ragazzi "disperati" per non aver passato un turno; incitamenti di "insegnanti" e genitori (peggio!) a dare il massimo perchè altrimenti non vi era alcuna possibilità di successo.
Possibile, mi son chiesto, che ci siano così tanti genitori che insegnano ai loro figli che la vita è anche altro?
Che la loro vita, quindi loro stessi come persona, vale molto di più di quello che possono mostrare ad un altro estraneo che li giudica?
Una vecchia teoria, sempre attualissima, vuole che il genitore narcisista che non ha saputo/potuto realizzare qualcosa di spettacolare per sè, cerca di fare in modo che sia il figlio (estensione narcisistica del genitore) a farlo per lui.
Un'altra corrente vorrebbe che, viste le privazioni avute loro stessi da giovani, vista la facilità con cui oggi si può brillare in uno show, molti genitori sono più "permissivi", credendo loro stessi che sia cosa buona e giusta inseguire un sogno, se lo si ha piuttosto che perder tempo a prendere "un pezzo di carta"!
Passino entrambe queste modalità; il problema di fondo rimane uno: questi genitori non sanno insegnare ai propri figli che la vita è fatta da tante cose, ognuna con la sua importanza relativa e, soprattutto, il riuscire o meno in una di esse NON è indicativo di FALLIMENTO.
Molti ragazzi di oggi che tornano a casa da scuola ed hanno preso un voto di sufficienza vengono travolti dalle ire del genitore che inizia a paragonarlo con chi "è meglio" perchè ha preso di più, con chi si impegna di più (e quindi il figlio è uno sfaticato, se gli va bene); iniziano i vari "non riuscirai in nulla nella tua vita!", "sei una delusione", "sarai un fallito" e potrei continuare all'infinito.
E questo dicasi anche per lo sport, le amicizie e tutto ciò che può essere "misurato".
Cosa impara il pargolo (perchè tutto ciò inizia sin da tenera età...)? Sono un buono a nulla; sono un fallito; non so fare niente; i miei genitori non mi amano perchè sono un fallito/incompetente/inadeguato.
E non è sempre e solo la frase detta per "incitare" ma anche le espressioni di disapprovazione, di delusione: tutti segnali che vengono letti dall'altro come "NON VAI BENE!SEI UNA DELUSIONE".
A nessuno viene in mente di dire "Era una prova difficile, sei stato bravo ed hai fatto del tuo meglio!"
Tutto ciò ci porta a pensare che per essere accettati/amati dagli altri (genitori in primis) dobbiamo avere successo, eccellere altrimenti ci aspetta il fallimento e la nostra vita sarà una tragedia in tutto.
Ci sono tantissime persone che fanno questo tipo di ragionamento: chi da sempre e ormai, grandi, vive con ansia da prestazione, disturbi dell'umore, ossessioni o qualunque altro sintomo sia riuscito a "tamponare" l'ansia da fallimento; chi sta iniziando ora e non ha nessuno che gli insegni che nella vita c'è altro di importante e che la nostra persona, il nostro essere più profondo, ciò che ci rende una persona degna di amore e con una buona autostima e un buon senso di auto efficacia dipende da altro.
Imparare a raggiungere traguardi importanti è fondamentale per ogni persona; accettare che talora possiamo non farcela e "sopravvivere" comunque alla delusione è fondamentale per il nostro benessere psicologico.
Troppe tragedie di questi tempi, di giovani vite spezzate, parlano molto chiaramente di quello che ho scritto sommariamente in queste righe.
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